Libri Catarinfrangenti e librai a rischio

Ben sapevano misurare il tempo, i greci, pur senza orologi, meridiane o clessidre. Quando scrivevano "all’ora del mercato pieno" indicavano un’ora esatta ed errabonda, le dieci e mezza della mattina o giù di lì, allorché i banchi dei venditori erano al completo.

Per gli inventori della filosofia e della politica, la piazza era una cosa seria, che fosse mercato oppure agorà. Noi abbiamo reverente timore del mercato azionario e superiore condiscendenza per il mercato rionale. Assai pepati – mi dicono – i mercati à la page, ma un giretto fra i banchi della piazza sotto casa può tirare su il morale. Oasi faunistica da proteggere contro l’estinzione?

Altro il discorso degli ipermercati. Qui noi dimostriamo di avere le idee più confuse dei greci, quando facciamo di questi luoghi i veri templi della modernità. E le antiche categorie del sacro e del profano?

Se poi il discorso riguarda la carta stampata, libri e giornali, i pareri si dividono. Perché il megastore appare agli uni un sontuoso banchetto, agli altri uno squallido fast food con cibi preconfezionati e incellofanati tutti uguali. Alcuni vi si sono smarriti. Altri hanno rischiato l’indigestione (per modo di dire: la dieta libraria non conosce altra controindicazione che l’illeggibilità).

Per non smarrirsi occorre una bussola, ma anche chi possiede un buon orientamento non snobbi una guida sapiente! Un libraio esperto. Un librario di fiducia è come il sarto che conosce le tue misure e i tuoi gusti e ti cuce addosso esattamente l’abito che pensavi. Puoi rilassarti, non ti deluderà. E mai farai magra figura.

Anche i librai di questo stampo sono specie in estinzione? In estinzione forse – e mi perdonino gli amici librai, facciano gli scongiuri – in estinzione forse, protetta no. Le piccole librerie a volte reagiscono travestendosi da iperstore in miniatura, oppure servendo brioche e cappuccini. La soluzione non è questa, perché la quantità non sostituisce mai la qualità…

Già le edicole, simpatici mercati di tutte le ore, sono ormai iperstore in miniatura. Vi fanno bella mostra i gadget più svariati: profumi, cappelli, creme, dentifrici, tazzine, mutandine, posate, pantofole, saponi, sciarpe, giubbotti catarinfrangenti omologati, caramelle al cioccolato e infine enciclopedie, libri, tanti libri, e persino quotidiani che nascondono articoli in mezzo alla pubblicità.

Ma non esisteva una legge secondo la quale non era permesso al gadget di superare in valore commerciale l’oggetto giornale?

In base alla par condicio, le librerie dovrebbero poter vendere i giornali, invece una rigida normativa prevede qualità necessarie… assai accessorie. Se fosse possibile, anche i librai riuscirebbero tranquillamente a vendere libri, per di più ai prezzi appetibili e sfilacciati di un quotidiano. Ma forse con maggiore libertà, condizione ineluttabile dell’amore.

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