È morto Indro Montanelli

MILANO, 10 Giugno 1999 –  di Sfredda Piero

Indro Montanelli, giornalista e scrittore: una carriera lunga sessant'anni, spesi in reportage di guerra, inchieste e battaglie civili dalle colonne dei maggiori quotidiani italiani. Chiamato da Mussolini nel 1934 a collaborare al "Popolo d'Italia", passò nel 1938 al "Corriere della Sera", inviato nei Balcani e poi in Finlandia. Alla fine della guerra, Montanelli riprese la sua attività al "Corriere", fino al 1974, quando lasciò il quotidiano di via Solferino per fondare "Il Giornale", di cui fu direttore per venti anni. Oggi, a 90 anni suonati (da poco: è stato festeggiato nel maggio scorso dal gotha del giornalismo italiano di cui è, ad honorem, capostipite), e dopo l'esperienza fallita de "La Voce", fondata nel 1995 e chiusa due anni dopo, tiene i rapporti quotidiani coi lettori del "Corriere della Sera", dalla sua "Stanza". Montanelli ha confessato che di tutta la sua produzione giornalistica, il rispondere alla posta dei lettori è l'impegno che gli è riuscito meglio e che vorrebbe che – dopo di lui – rimanesse. In una breve intervista nella sua abitazione milanese, poniamo immediatamente una nostra perplessità: come può Indro Montanelli preferire i dialoghi coi lettori al resto della sua vasta attività giornalistica, ai trenta volumi della storia d'Italia – ad esempio -, o ai famosi "Incontri", nei quali risiedono i ritratti più chiari di tutte le personalità dell'ultimo secolo?

"La mia preferenza per i dialoghi coi lettori discende da una mia convinzione; una cosa che vado ripetendo ormai da molto tempo, e che mai è stata capita sino in fondo: il lettore, per me, è il padrone. E' una mia vecchia idea, che non riesco a rendere chiara: tutti la equivocano. In fondo, quando scrivo, a chi parlo? E' al lettore che mi rivolgo. E al lettore devo rendere conto. Senza assecondarne i pregiudizi, senza scrivere quello che vuole sentire, ma raccontando i fatti in modo che li capisca. Per questo 'La Stanza', il rispondere alle lettere, mi piace: perché è un contatto più diretto con il lettore. Un contatto immediato: loro chiedono e io rispondo".

Sessant'anni di carriera giornalistica, e la convinzione ferma che il lettore sia il padrone. Dell'atteggiamento "di servizio" di Montanelli si trova traccia quotidianamente anche nelle risposte ai lettori del "Corriere", nella sua "Stanza", dove il giornalista è tirato per le maniche della giacca ogni ventiquattr'ore, a parlare di storia, cronaca , personaggi, costume o politica. Ad ogni compito Montanelli assolve con fondamentale benevolenza.

Quella di servire il lettore è stata una scelta che Montanelli ha pagato di persona anche durante le sue direzioni, al prezzo di delusioni professionali cocenti (l'idea di un nuovo quotidiano, indipendente dal potere politico: "La Voce", chiuso dopo un esistenza brevissima e travagliata, e il dissenso con Silvio Berlusconi – editore del suo "Giornale" – che lo costrinse a "licenziarsi" nel 1994). Per questa particolare attenzione al rapporto coi lettori, e per il modo in cui Montanelli l'ha sempre rivendicata (tanto da parlare di 'fidanzamento passionale', ai tempi del 'Giornale', e di 'flirt' coi lettori della 'Voce'), il caso del grande giornalista rimane esemplare, nella storia del giornalismo italiano: pochi giornali, come i suoi, hanno potuto godere di un tale sintonia e simpatia fra la direzione e il lettore (tanto da essere ancora identificati – è il caso del 'Giornale – come 'di Montanelli'). Da cosa discende questa convinzione: che al lettore si debba rendere conto, scrivendo, anche al prezzo, altissimo, di rischiare il proprio posto e la salute del giornale?

"Dai lettori fui salvato, e nei loro confronti ho un debito".

D: Salvato?
"E' una storia che risale al 1940, quand'ero inviato in Finlandia per il 'Corriere'. Il Ministero della Cultura Popolare fascista, come accade spesso nei regimi totalitari, pretese di mettere il bavaglio alle mie corrispondenze sulla guerra russo-finnica. Le mie corrispondenze… non corrispondevano alla politica estera italiana. Il Minculpop scrisse una nota al mio direttore d'allora, Borelli, chiedendo di richiamarmi. Al principio rimasi stupito: non sapevo – non mi ero nemmeno chiesto – dove volesse andare a parare la politica estera italiana; raccontavo i fatti come li vedevo. Senza la pretesa di dare giudizi: non l'avevo mai fatto e non era mia intenzione farlo. Fatto sta che, per cavarsi d'impiccio, Borelli rispose al Minculpop dicendo di non potermi richiamare perché con le mie corrispondenze, il 'Corriere' aveva guadagnato trecentomila lettori. Non era vero, naturalmente, ma la cosa bastò ai gerarchi fascisti per rinfoderare le loro pretese, demagogico com'era, il regime d'allora. Quella fu la prova provata che la mia vecchia idea – quella che mi voleva al servizio del lettore raccontando i fatti così come li avevo visti – era valida. Il lettore è il padrone, e nessun altro 'potere' può mettervisi contro. Il lettore è un padrone che mi mette al riparo dagli altri padroni, e che è stato in più occasioni la mia guardia del corpo. La mia 'Stanza' sul Corriere non è che questo: un modo più immediato per arrivare al lettore, coinvolgendolo. E' un'attività che preferisco a tante altre. Ogni tanto mi chiama De Bortoli, il direttore del Corriere, e mi chiede un editoriale: lo scrivo malvolontieri; preferisco rispondere alle mie lettere, anche se mi ci vorrebbero una dozzina di pagine al giorno…"

D: Arrivano molte lettere alla sua "Stanza"?

R: "Dalle cento ottanta alle duecento al giorno. E' un gran lavoro di selezione nel quale mi aiuta la signora Iside Frigerio (da sempre assistente di Montanelli n.d.r.). Ogni giorno i lettori mi sottopongono qualcosa che mi stimola, m'interessa, mi provoca reazioni".

D: lei che è stato un grande direttore… "No!", Montanelli dissente: "un pessimo direttore, sono stato. Pessimo. Sono stato costretto a fare il direttore, ma non mi è mai piaciuto". L'affermazione ci sorprende, la riportiamo come nota di colore, convinti che andrebbe approfondita. Ma non fa parte del nostro discorso: volevamo sapere – da un direttore che a noi sembra ottimo comunque – a cosa serve, ad un giornale, coltivare direttamente il dialogo coi lettori, pubblicare gl'interventi che arrivano in redazione e impiegare dei redattori nel rispondere alle lettere.

R: "Dipende tutto da come la si intende, e come la si vuole indirizzare, la rubrica della posta. Se si fa la 'presse du coeur', come la chiamano i francesi, o se invece si cerca di dare un taglio più profondo, alle lettere. Una cosa è certa: in termini di diffusione, la posta confidenziale rende molto, ma non è il mio modello. Il mio modello – se ci rifacciamo alla divisione classica, anglosassone, fra stampa popolare e stampa di qualità – è quello del 'Times'. Un rapporto che vada oltre le confidenze delle ragazzine o delle donnette. E' molto utile, comunque, tenere una rubrica di posta. E' una cosa che il lettore gradisce molto, non solo il lettore che scrive. Quella della posta, è una pagina molto frequentata anche da chi non ha mai scritto una lettera. Nel mio caso, poi, nel caso del 'Corriere', ho notato che il lettore sente molto il mio impegno, la mia dedizione. Che deriva, come ho già detto, dal fatto che rispondere alle lettere mi piace. Quindi la mia è diventata nel tempo una rubrica molto frequentata, molto viva. I lettori mi chiedono di tutto, particolarmente fanno domande sui miei 'Incontri', o sulla storia. E per me è un piacere rinfrescare certi momenti, certi ricordi".

D: Lei che ha il 'polso' dei lettori da sessant'anni, ormai – oggi direttamente, rispondendo alle lettere al giornale, e prima come cronista e come direttore – ha notato dei cambiamenti nel tenore e nel tipo degl'interventi che arrivano sui tavoli delle redazioni?

Montanelli ragiona a lungo, e ci risponde, cordialmente sconsolato:

R: "C'è una cosa che mi colpisce, oggi come allora: l'ignoranza del lettore. Le curiosità che mi sottopongono sono grossomodo le stesse, da tanto tempo a questa parte, e vi si respira una grande ignoranza della storia, delle vicende importanti del nostro popolo. Non ne faccio una colpa dei lettori, comunque. La storia, in particolare, non gli è mai stata raccontata. I libri sono fatti male. Ho avuto ultimamente un'accesa discussione con un accademico, il quale aveva un malcelato disprezzo nei miei confronti. Mi rimproverava di raccontare la storia ai miei lettori come una successione di fatterelli. Mi rimproverava, in sostanza, di essere un narratore. Ma come pretendono che la gente s'interessi alla storia se non vengono raccontati i fatti, per come andarono, per come ne abbiamo memoria? Questi accademici sui libri ci mettono le loro idee, e scritte male, e i risultati li abbiamo sotto gli occhi. Tocca a me, accade spesso nella mia 'Stanza', intervenire su argomenti che il pubblico non ha compreso. Ed è la cosa che più mi piace, mettere a disposizione un secolo di ricordi, un secolo che ho vissuto direttamente, dal quale traggo aneddoti, fatti e personaggi. Lo metto a disposizione quotidianamente, a beneficio dei lettori, i quali ne usano e – molto spesso – ne abusano".

D: Una curiosità ci assale: come scrivono gl'italiani?

R: "Male", e la risposta è secca.

D: E a Gianni Riotta, che al contrario ci disse che i lettori italiani sono "spiritosi, brevi, un piacere da leggersi", come risponde, Montanelli?

R: "Rispondo che non bisogna lusingare il lettore. E' importante che il lettore capisca che lo prendiamo sul serio, e ne assecondiamo le curiosità, ma non bisogna lusingarlo, soprattutto in questo caso, quando la lusinga è francamente esagerata".

Studiando 'La Stanza di Montanelli', e cercando d'identificarne (altrove, capitolo 3) il tenore degl'interventi, ci sono balzate all'occhio un paio di lettere che particolarmente rendono l'idea di quanto sia importante, per i lettori, il colloquio quotidiano con Montanelli. Le trascriviamo di seguito, avendone fatto oggetto dell'ultima domanda al grande giornalista, per capire come venga intesa la pagina delle lettere e il rapporto coi lettori da chi lo cura direttamente:

Venerdì 5 Febbraio 1999,  "La Stanza di Montanelli"

D: È l'ultima volta che la disturbo: una malattia mi sta portando via velocemente. Non posso più scrivere di mio pugno e un amico le manda i miei ultimi complimenti. Ho seguito tutte le sue peregrinazioni, inclusa "La Voce", importunandola a suo tempo con mie lettere a cui lei ha puntualmente risposto. Alle volte non mi sono spiegato bene o lei non mi ha capito, ma la Stanza di Montanelli mi è stata sempre come la boa in questo mare agitato che è la vita italiana. La ringrazio per l'attenzione e le assicuro che la leggerò anche dove sto andando, sperando che anche il suo giornale arrivi in prima mattinata e, prima o poi, di incontrarci. Per riconoscermi, controlli quello che starò leggendo: avrò il primo numero della sua Voce, che ho conservato per l'occasione, e le "Confessioni" di S. Agostino. Luigi Ferrario, Bergamo

R: Le auguro e mi auguro che la sua partenza – come tutte le partenze italiane – subisca qualche ritardo. Comunque, sappia che non resteremo separati a lungo.

Martedi 23 Febbraio 1999, "La Stanza di Montanelli"

D: Sono un suo assiduo lettore, e mi sono detto: perchè non fare un circolo amici della "Stanza di Montanelli" senza carattere di lucro, apolitico, laico, insomma riunire tutti coloro che scrivono lettere e così formare una famiglia di persone che abbiano da dire cose più o meno amene a tutti i lettori del Corriere. Basta vedersi una volta ogni tanto, in un luogo, da fissare, o essere invitati in via Solferino in un giorno della settimana con biglietti di invito solo a chi ha visto pubblicata almeno una lettera. Chiedo troppo ?

Gaetano D'Urso, Milano

R: Come, questa "stanza" non le basta?

La prima lettera ci ha commossi, e la seconda ci ha divertiti. Quest'ultima, in particolare, rientra nel novero dei "deliri". Come hanno notato Beppe Severgnini e Isabella Bossi Fedrigotti, succede che alcuni lettori talvolta sopravvalutino il valore della pubblicazione di una lettera sul giornale, e pretendano conseguentemente di instaurare dei rapporti diretti, personali con il curatore della rubrica. Montanelli commenta con un ghigno eloquente, questa seconda lettera, non aggiungendo altro. Se ne potrebbe dedurre – è l'impressione che ci coglie – che la lettera del signor D'Urso non è la prima di quel tenore, che arriva a Montanelli. E che lettere del genere non siano, in genere, molto ben accette al grande giornalista.

Riguardo alla prima lettera, invece, Montanelli sottolinea che commosse anche lui. E in cinque parole – proverbiale la sua sintesi – teorizza una sorta di "galateo della risposta al lettore", attraverso il quale ci fa capire – riguardo alle lettere personali inserite nel contesto della posta ad un quotidiano – sin dove possa arrivare il sentimento personale del curatore della rubrica nei confronti di chi scrive, rispetto all'esigenza di rivolgersi a milioni di altri lettori.

"Non bisogna, certo, insistere sul patetico".

Dal corriere della sera

L'urna con le ceneri di Indro Montanelli è stata collocata, come lui aveva richiesto, nella cappella di famiglia nel cimitero di Fucecchio, poco distante dal centro abitato. Montanelli riposa adesso sopra il loculo della madre Maddalena, donna devotissima, a cui il grande giornalista era molto legato. All'arrivo dell'urna ci sono stati due minuti di applausi e, come da lui chiesto, non si sono svolte commemorazioni nè prediche.
Tantissimi suoi concittadini hanno voluto essere presenti a questo momento.

Le reazioni di alcuni tra i personaggi che hanno meglio conosciuto il grande giornalista.

Carlo Azeglio Ciampi: «Scompare con Indro Montanelli colui che è stato per gli italiani il più grande testimone e cronista del novecento. Nei suoi articoli, di grande inviato e di direttore, ha narrato eventi storici che hanno segnato il nostro tempo coniugando la scrupolosa precisione del cronista alla penetrante analisi dell'uomo di principi, che guidava il lettore nella retta comprensione della storia del nostro tempo. Ci ha lasciato un'ineguagliata galleria di ritratti di protagonisti del novecento. Intollerante di ogni costrizione, conquistò con la schiettezza dei suoi giudizi l'ammirazione e l'affetto di generazioni di italiani. Ne conosceva a fondo vizi e virtù, e fu spietato ma appassionato giudice di un paese che amava sopra ogni altra cosa al mondo. L'Italia intera sentirà la sua mancanza» .

Silvio Berlusconi: «Scompare con Indro Montanelli un testimone del secolo. Piango l'amico con cui ho condiviso molte battaglie e al quale sono rimasto legato anche quando ha espresso dissenso dalle mie posizioni, con lo spirito di libertà che ha sempre animato il suo lavoro e che io ho sempre rispettato» .

Marcello Pera: «Indro Montanelli ha rappresentato il meglio della tradizione giornalistica italiana. Voglio ricordare il suo spirito libero, la sua indipendenza di giudizio, la sua scelta di non piegarsi mai alle mode e ai conformismi culturali e politici di ogni segno. Il suo coraggio civile ne ha fatto uno dei punti di riferimento principali per tutti gli spiriti liberi del nostro paese» .

Pierferdinando Casini: «Esprimo cordoglio della Camera dei Deputati per la scomparsa di Indro Montanelli, un protagonista dell'Italia degli ultimi 50 anni e un grande interprete del nostro giornalismo. Di Montanelli e delle sue scelte si dovrà parlare a lungo: certo non fu mai scontata o banale la testimonianza di un uomo che rifiutò, per coerenza con la sua professione, anche la nomina di senatore a vita».

Walter Veltroni: «Con Indro Montanelli muore un pezzo della storia d'Italia, del nostro passato e del nostro presente. Quando se ne va un grande testimone del nostro tempo, quale è stato Indro, è una perdita per tutti: ci mancheranno il suo coraggio, la sua intelligenza, il suo anticonformismo nutrito di libertà, la sua ironia».

Pierluigi Castagnetti: «Esprimo grande e commosso cordoglio per la scomparsa di Indro Montanelli, testimone lucido e profondo di tanta parte della storia recente del nostro Paese. Con lui scompare non solo un maestro del giornalismo italiano ma una voce libera e autorevole che tanto ha dato all'Italia».

Giorgio La Malfa: «Con Indro Montanelli scompare non soltanto una delle grandi personalità del giornalismo italiano del '900, ma anche un uomo di grande rettitudine morale e di profondo coraggio civile. È una perdita dolorosa per l'Italia e per me personalmente che gli ero amico e affezionato, un dolore molto profondo».

Roberto Formigoni: «È morto uno dei giornalisti più grandi. Un toscano verace che conservando fino in fondo le sue radici era diventato capace di esprimere al meglio i sentimenti e lo spirito della nostra terra. Maestro impareggiabile nel descrivere uomini, raccontare storie e suscitare riflessioni. Ricorderò sempre l'emozione del primo incontro con lui 30 anni fa».

Gabriele Albertini: ««È un affetto che mi viene strappato. Domani, nei prossimi giorni, negli anni che verranno, potremo dire quanto importanti e grandi siano state la personalità di Montanelli e la sua influenza sulla civiltà e l'umanità di questo nostro Paese, la sua capacità di riscattare e illustrare un popolo senza mai adularlo ma, anzi, criticandolo e contrastandolo, per farne emergere le qualità migliori. Oggi preferisco affidare il mio pensiero al grande, immenso dolore per un affetto che mi viene strappato e con me a tutti i milanesi e a tutte le persone che cercano ogni giorno di essere coerenti e semplici. Questo era il suo essere 'controcorrente'. Contro gli opportunismi, contro i propri interessi quando questi sono in contrasto con quelli degli altri, contro le ideologie quando queste non aiutano a comprendere ma sono per difendere una parte contro l'altra»

Montanelli, un testimone nel secolo scomodo – Dal Corriere della Sera

Giolitti, Mussolini, De Gaulle, Churchill: gli incontri del grande inviato con i leader del Novecento

Il ricordo di Milano a Indro Montanelli è stato una sorta di saluto che il grande giornalista ha dato ai cittadini. Evitando retorica, sentimentalismi e parole che sarebbero risultate inadeguate al cospetto di chi, delle parole, ha fatto strumenti di battaglie civili, alle 18.45 di ieri Montanelli è apparso improvvisamente sullo schermo del Teatro Dal Verme davanti a un migliaio di cittadini giunti ad ascoltarlo. Ha preso il via così, senza una parola di presentazione, la proiezione dell’intervista che il direttore del Corriere della Sera , Ferruccio de Bortoli, aveva fatto al grande Indro il 16 dicembre del ’99. In sala, a riascoltarla, c’erano i promotori dell’iniziativa: il Comune, rappresentato dal sindaco, Gabriele Albertini con gli assessori Salvatore Carrubba e Gianni Verga, e i vertici della Rizzoli, con il presidente Cesare Romiti, il direttore del Corriere , de Bortoli e il direttore editoriale dell’area libri, Rosaria Carpinelli. Ma si riconoscevano, tra gli ammiratori di Montanelli, anche molti giornalisti, storici e docenti universitari, tra i quali i rettori del Politecnico, Adriano De Maio, e della Bocconi, Carlo Secchi. Con loro anche personalità della cultura, come i critici Emilio Tadini, Flavio Caroli e l’editore Massimo Vitta Zelman, del mondo industriale e bancario, tra i quali Leopoldo Pirelli e il presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti, nonché l’ex ministro della Sanità e amico di Montanelli, Umberto Veronesi, l’ex sindaco, Carlo Tognoli e, con loro, il presidente della Provincia, Ombretta Colli, e il questore di Milano, Vincenzo Boncoraglio. Nascosti tra il vasto pubblico di suoi appassionati lettori, anche qualche anziano amico o figlio di inseparabili sodali, come Longanesi. Sentire Montanelli raccontare vizi e virtù delle grandi personalità del Novecento è come passeggiare in quelle sale che ospitano le immense quadrerie reali del Sei-Settecento, dove ogni dama, ogni principe, ogni duca, ogni delfino si rivela, attraverso lo sguardo e i colori, per quella che è stata la sua personalità. E come un abile pittore, ma non «cortese» alla Velázquez o alla Mengs, piuttosto un caricaturista abile nel mettere a nudo i difetti dei «potenti», Montanelli ha ritratto a uno a uno gli statisti di quello che lo storico Eric J. Hobsbawm ha chiamato «il secolo breve» e che a lui è parso «un secolo scomodo, di drammi dai quali volevamo uscire ed ora, che ne siamo usciti, un po’ rimpiangiamo». Il dramma del Comunismo, innanzitutto, l’ideologia che ha fatto da «arco di volta del secolo, perché non si poteva che essere pro o contro». Dal confronto con esso, la nascita anche degli altri totalitarismi che, accogliendo parzialmente le tesi dello storico revisionista Ernst Nolte, Montanelli inquadra anche come forme di reazione.

Ma più delle analisi sulle dittature, colpiscono i ritratti dei personaggi, la cui descrizione Montanelli accompagna anche con quel caratteristico gesticolare delle sue lunghe mani di tanto in tanto con l’indice proteso a rimarcare la maggior importanza dell’aneddoto. Togliatti è dipinto nelle tinte forti del realismo sovietico: era «il Migliore dei peggiori». De Gasperi sembra il protagonista di un idilliaco quadro pastorale: era un uomo pieno «di idealità e quindi poco italiano». Al contrario di Mussolini «sempre pronto a seguire il vento da buon italiano»: una sorta di camaleonte. De Gaulle è ritratto come un Napoleone ieratico: è l’emblema della grandeur francese; Salazar è un vecchio «reperto archeologico». Alla sua sterminata galleria di ritratti mancano solo Stalin e Mao.

Alla fine del filmato, agli applausi della registrazione si sono aggiunti quelli della sala. Poi, quasi in fila indiana, politici, giornalisti, editori, e dietro loro tutti i cittadini, hanno lasciato il teatro senza dire una parola. Ma da molti è stato accolto con sorpresa e imbarazzo il titolo riservato dal New York Times alla scomparsa del giornalista: «Montanelli giornalista fascista». Il contenuto del servizio del quotidiano americano, tuttavia, ha un tenore diverso. Viene, infatti, ricordata anche la successiva rottura con il fascismo come conseguenza dei suoi reportage sulla guerra civile spagnola, il periodo di detenzione a Milano e la condanna a morte come antifascista.

«Sono stupito» ha comunque commentato a questo proposito il sindaco di Milano, Albertini. «Certamente Montanelli aderì al fascismo, come lui stesso ricorda in questa intervista. Si tratta di capire a quale fascismo lui diede la sua adesione. Lo ha sempre detto chiaramente: fu fascista dall'età di 12 anni fino a 24, ma non aderì mai al fascismo delle leggi razziali. E’ solo un titolo a effetto», ha concluso.
E dato il grande numero di richieste pervenute in questi giorni al Comune e al Corriere per vedere questa intervista, si stanno studiando ulteriori forme di diffusione o trasmissione televisiva. E non si esclude che possa essere organizzata una proiezione anche a Roma.

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