Giorgio Bocca
È tra i pochi giornalisti decani del Belpaese rimasti. Ad ottanta anni e passa non ha ancora perso la grinta, la passione civile, quella sana capacità di indignarsi che è sempre alla base dei suoi articoli e dei suoi libri. A proposito di questi ultimi esce ora " Piccolo Cesare" (immaginate chi sia costui… facile no?) edito da Feltrinelli.
– Chi è il Piccolo Cesare, una persona o uno stile di far politica?
– È questo strano personaggio, sempre più tondo, piccolotto e vanesio che si chiama Silvio Berlusconi. Il mistero principale, che è una delle ragioni per cui ho scritto questo libro, è capire come mai tanta gente lo ama.
– Questo libro è un vero j’accuse nei confronti delle trasformazioni in corso nella società italiana e nella sua rappresentanza politica. Questo regime c’è o non c’è?
– Io direi che Berlusconi è il personaggio tipico della globalizzazione: se c’è un personaggio che è stato creato dal resto del mondo quello è proprio lui, perché se non ci fosse stata la rivincita del mercato, questo nuovo capitalismo aggressivo, questo uso dei mezzi di informazione, lui non sarebbe mai emerso, sarebbe rimasto a fare il palazzinaro. Invece è salito sopra a tutte queste novità. Era forse il più attrezzato a cavalcarle.
– La questione di Mani pulite riaffiora continuamente come un punto non risolto, con cui non abbiamo fatto i conti in maniera definitiva. Secondo te la questione della moralità della politica è ancora attuale o è stata completamente sepolta da quest’ultima stagione e dalle sulla magistratura?
– L’importanza enorme che ha avuto Mani pulite, e che non si riesce neanche a capire – tanto è sproporzionata – non è tanto legata ad alcune vicende giudiziarie, quanto al fatto che la sua azione è stata veramente una rottura della continuità. La giustizia in Italia – non che prima di Mani pulite non ci fossero stati altri episodi di questo genere – era sempre stata molto sottomessa al potere esecutivo. Ma per la prima volta questa magistratura, per una serie di combinazioni, ha rotto e provocato un senso di vera angoscia nella borghesia italiana che si è affacciata sul vuoto. I politici si chiedevano: "Ma come? La giustizia che era sempre stata al nostro fianco oggi scardina i partiti di governo. Cosa ne sarà di noi?" E Berlusconi ha intuito. La ragione, infatti, per cui è entrato in politica, e pare anche dirlo il suo braccio destro Confalonieri, è perché l’alternativa sarebbe stata probabilmente…
– L’11 settembre, per certi versi, ha chiuso la belle époque della globalizzazione neoliberista. Oggi emergono questi casi come Enron…
– Sì ma non è più così allegra la faccenda, è un periodo in cui si capisce che il capitalismo non riesce più a controllare né i suoi investimenti né le sue regole del gioco, e questo mi sembra molto grave. Accade, cioè, che tutti i dirigenti di queste grandi aziende si sono messi a rubare in modo spudorato pensando che (e questa è l’idea centrale di Bush) finché c’è il terrorismo si tiene botta in quanto la gente è più preoccupata per il terrorismo che per altro.
– Le speranze di trasformazione della società, che in passato aveva avuto grandi ideali come il socialismo o altre cose, sono sostituite in questi anni da un nuovo modello di vita: consumo, dunque sono. Non esistono secondo te più alternative? Esisteranno?
– Ci sono secondo me delle difficoltà oggettive, una di queste difficoltà è data dalla rapidità delle trasformazioni. Se ogni giorno nasce un computer capace di compiere centomila operazioni più in fretta del modello precedente, abituarsi a collocare questa tecnica dentro un quadro del mondo diventa non solo difficile ma a volte impossibile. Allo stesso modo questa crescita senza fine del profitto ha portato a questi grandi crac. Tutte le grandi aziende hanno cercato di fare più soldi di quanto fosse possibile fare. Insomma, se metti troppa carne al fuoco basta che ti salti un credito e sei fottuto.
– In questo libro sono presenti toni apocalittici o quanto meno di forte pessimismo sul futuro. Al contempo però, dici che, in fondo, guardando i movimenti giovanili e il fatto che c’è qualcuno che ricomincia a voler discutere o protestare, qualche speranza rimane.
– Intanto faccio un’osservazione: mi pare in effetti che questo schieramento di destra non sia poi così convincente perché gli intellettuali di quella parte non negano affatto che il capitalismo abbia questa crisi profondissima, cioè non è come una volta che bastava parlare di crisi del capitalismo americano e scattavano subito le accuse di stalinismo, e ci si nascondeva dietro un "L’America sta andando benissimo!". Adesso si ammette che i problemi ci sono. Quindi c’è una presa di coscienza del fatto che i problemi ci sono e che spesso sono difficilissimi da risolvere. In quanto all’avvenire, poi, non sono apocalittico. L’avvenire è imprevedibile e le risorse di adattamento dell’uomo sono enormi. Abbiamo resistito al nazismo possiamo resistere anche a Berlusconi.
Ma rispetto ai giovani, che oggi si trovano ad affrontare queste questioni ponendosi domande e cercando risposte su questo tipo di scenario, tu, che hai attraversato tante stagioni, alcune delle quali veramente tremende, che tipo di auspici lasci? Qual è il consiglio?
– Il problema è che attualmente la grande difficoltà di far politica è legata al fatto che non si hanno più in mano gli strumenti di collegamento tra economia e politica, tra etica e politica. È come se tutto l’universo fosse andato in frantumi. Pensiamo per esempio alla debolezza della politica dell’opposizione. Che opposizione fai se la tua linea è su per giù identica a quella del governo? In fondo questa sinistra cerca in realtà di trovare un accordo con Berlusconi per conservare qualche fonte di finanziamento. È tutta qui la storia. Quello a cui bisogna pensare invece è evitare che venga eliminato il sindacato, uno dei pericoli gravi. Il sindacato non solo è una forza politica ma anche una forza economica, è una struttura che può contrapporsi a questo capitalismo senza limiti.