Ario l'eretico di Luciano Patetta
Gli amori di Ario erano tre: la vita, le donne e Gesù Cristo. Nato a Alessandria d'Egitto, la seconda città dell'Impero romano, figlio di un colto ebreo e nipote di un pagano, cultore della filosofia greca, Ario visse nell'epoca drammatica (il IV secolo dopo Cristo) delle ultime persecuzioni contro i cristiani (Diocleziano e Licinio), dell'editto di Costantino del 313 d.C. e delle feroci dispute all'interno della Chiesa, sulla Trinità e sulla natura di Cristo. Ario, diventato diacono cristiano, fu il protagonista della più grave eresia dell'intera storia della Chiesa. Ritenuto dai più, blasfemo, scomunicato e espulso dopo il Concilio di Nicea del 325 d.C., Ario divenne un perseguitato per il resto della sua vita molto avventurosa, amato e odiato, ammirato e disprezzato. Frequentò i maestri più importanti del tempo, si ritirò nel deserto, fu preso da passione per una cortigiana di lusso. Di grande attualità sono temi nei quali egli si è trovato drammaticamente coinvolto: la tolleranza, la libertà di culto, il confronto tra differenti culture e tradizioni, l'affermarsi di un'unica religione di Stato. Con l'Arianesimo si è rivendicato il diritto a dissentire in materia religiosa. La cosa forse più importante detta da Ario, e di certo quella che maggiormente gli apparteneva, era questa: "Non fatevi uccidere per le mie opinioni. Potrei avere torto! A nessun uomo è dato il privilegio di non sbagliare".
La Boxe di Jack London
Sembrano apparentemente lontani eppure la boxe li attanaglia, muove loro la vita; ci appaiono forse opposti, eppure hanno entrambi sul ring il loro nemico, ben più forte di quello che vogliono picchiare. Sono Felipe e Tom, i protagonisti: giovane messicano con l'inferno negli occhi e labbra sempre spaccate il primo, collaudato professionista con lo sguardo da animale combattente e il vigore logorato il secondo. Entrambi hanno bisogno di soldi, e combattono per questo; Felipe, accecato dall'odio di classe per motivi familiari oltre che politici, vuole con il denaro comprare i fucili per i compagni della rivoluzione messicana; Tom, sposato e padre di due figli, vuole uscire dalla miseria, ma vuole soprattutto dimostrare a se stesso e alla sua vecchiaia di poter ancora vincere sull'inesperienza. Così le loro personali motivazioni annegano nella semplicità della metafora: veri nemici sono la Storia per Felipe, escluso insieme a centinaia di contadini e di operai malandati dagli accumuli della ricchezza messicana; e il Tempo per Tom, che gli ha sottratto la giovinezza e lo slancio vitale. Con un crescendo che possiede la violenza e il pathos di uno scontro dal vivo, Jack London ci fa rabbrividire di stupore per la vittoria e di amara desolazione di fronte all'ineluttabilità del tempo. Storie sulla pedana di un ring allegorico. Storie dove si esercita la magistrale abilità narrativa di London, racconti nella più pura tradizione americana scritti da un genio luminosissimo che dipinge lo sport degli squisiti.
Gli anni senza perdono di Victor Serge
"Per Victor Serge lo scrittore è "l'uomo che fa professione di parlare per molti altri che sono senza voce". Questa grande penna antitotalitaria difende l'idea che scrivere è compiere un gesto fraterno di commemorazione." Jean Birnbaum, Le Monde Siamo nella Russia degli anni Trenta, in pieno stalinismo; in un tempo in cui bisogna pensare allo zucchero e al petrolio, alle cimici nelle stanze, alle code nelle farmacie già svuotate: in fondo siamo nella Russia d'oggi, quando la miseria agisce nel cuore umano come una ferita segreta e la possibilità di guarire è legata al successo della ristrutturazione economica, che pur si auspica e si condivide. Ma l'individuo è solo mentre le grandi idee invadono le strade. Un equilibrio difficile, una coerenza messa a dura prova; con un linguaggio che non si abbandona mai se non all'amaro realismo. Victor Serge denuncia, anticipando analisi politiche più attuali, i costi esistenziali di una trasformazione, i conflitti interiori di un popolo coinvolto in una grande ristrutturazione. Ne "Il vicolo San Barnaba" si attende la morte di una vecchia per accaparrarle la stanza; ne "L'ospedale di Leningrado" si ricoverano i dissidenti. Esplode il conflitto individuo-potere e individuo-libertà; e così come accade oggi, le domande del grande scrittore restano senza risposta. Ma questo è il compito di chi scrive: "non scrivere di menzogna e futilità".
Vitalogia di Elena Mastellaro
La narrazione di Elena Mastellaro è una ramificata topografia che raggiunge capillarmente le esperienze e i linguaggi dei paesaggi urbani odierni. Esperienze soprattutto di ragazzi che nel loro linguaggio fanno confluire l'acerba percezione del mondo che si fa quotidianità tragica; ragazzi che al loro malcerto, talvolta spezzato e infiammato linguaggio, fanno aderire una sessualità che è prima esplosione del corpo comunicante, e poi le parole e i pensieri fatti segni, graffiti, tenerezze e violenze. Ale degli indigeni, Leo, Giovanni, Siria, Lisa Nilla, Oz, Eli e Cate sono i ragazzi di Elena Mastellaro che vivono i labirinti della città e del linguaggio, e su questi fanno gocciolare le loro storie della strada, della scuola e del carcere, i racconti di emarginazione e amori che non fanno paura, neanche se lasciano intravedere minacce e morte. L'intreccio di monologhi, refrain di canzoni, osservazioni fuori campo e definizioni enciclopediche rivisitate che plasmano la specificità del mondo di questi giovani e del loro sguardo che tenta di decifrarlo scorre come un fiume di lava nelle pagine di Elena Mastellaro, portando con sé l'incandescenza rossa e liquida di una scrittura in continuo flusso che sfugge a qualsiasi processo di solidificazione. La scrittura della Mastellaro è esatta, carnosa, terrigna, semplice, primordiale, inventata, erudita; la sua ricercatezza non fa da copertura al vuoto, ma diviene la materia stessa di ciò che descrive, si fa il mondo di Cate, Lisa Nilla, Ale degli indigeni, Oz e Siria. Le storie di questi ragazzi formano un tutt'uno con spazio urbano che li circonda e li comprende, che talvolta li opprime, li deprime, li sacrifica a una logica che sfugge alla loro comprensione per poi mangiarseli come Saturno con i suoi figli. E per rigettarli, magari, nella zona d'ombra della galera. Milano e la Brianza sono i luoghi che in Vitalogia si lasciano spiare attraverso le atmosfere e i paesaggi umorali ritratti trasversalmente da Elena Mastellaro con la sua scrittura che si fa cosa, città, esperienza umana, sono i luoghi vissuti e guardati con occhi più o meno consapevoli o distratti dai ragazzi di Elena.
Il buio è un cavaliere di Marina Valcarenghi
Il buio è un cavaliere e in sella al cavallo alato ci prende e ci accompagna. Così il viaggio notturno si compie in volo, ai confini del tempo e della realtà, dal cielo fin nel cuore della terra, attraverso bocche di vulcano che conducono in luoghi profondi, fatti di antiche conchiglie e pietre lucenti. Attraverso questi paesaggi dell'immaginario le fiabe di Marina Valcarenghi ci guidano in un viaggio che riscopre, insieme con il piacere del racconto, il percorso creativo e psicologico dell'interiorità. Le paure, le inibizioni, l'incontro con l'altro e il confronto con la differenza sono tematiche complesse che affiorano costanti, individuate e ripercorse da una narrazione che è sospinta, oltre che dal desiderio di raccontare, anche da un lavoro di ricerca serio e scrupoloso in cui la coscienza, umana e collettiva, è l'oggetto di studio privilegiato. "Se un bambino inventa una storia, in essa possiamo riconoscere alcune sue dinamiche inconsce; analogamente, se un popolo inventa un sistema di storie, che assume valore di fede o comunque di verità e si tramanda pressoché invariato per secoli o millenni, noi possiamo cercare di rintracciarne il senso nascosto."
In vino veritas di Sören Kierkegaard
Un dialogo a cinque voci sul tema dell'amore. Non l'eros antico però, bensì il rapporto tra i due sessi così come si era andato delineando sull'onda di due svolte epocali: l'avvento del Cristianesimo e la Rivoluzione francese. Logico dunque che a occupare decisamente il centro del dialogo fosse la donna, e altrettanto logico che l'opera, rigorosamente al maschile, girasse intorno a quel centro immaginario sbandando in infiniti modi tra satira e pastiche. Forse anche per questo In vino veritas è il testo che più costò fatica a Kierkegaard: vi lavorò infatti per oltre un anno, sottoponendolo a ripetute modifiche che finirono per prostrare addirittura l'autore, solitamente assai più spiccio e ispirato. In compenso, la critica più autorevole (da Brandes a Hirsch) non tardò a cogliere la levatura stilistica dell'opera, definita un capolavoro e anzi il capolavoro assoluto della produzione kierkegaardiana. In Italia ben quattro traduzioni nell'arco del nostro secolo hanno cercato, ognuna per suo conto, di rendere precario al limite dell'abusivo quel primato. E in tal senso questa traduzione, condotta con il patrocinio del Kierkegaard Department dell'Università di Copenaghen, viene quasi a rappresentare un atto dovuto di risarcimento.