Via la colpa

VIA LA COLPA di Rino Pape

cap 1
Meglio una vita di tentativi
che una vita di sedativi.

Certe decisioni devono essere prese in fretta, senza pensarci troppo, con incoscienza e determinazione. Poi avevo comunque sempre la scusa che in America non ci ero mai stato, e che molti dei miei ex colleghi sono andati là per imparare meglio il mestiere: anzi, per imparare due cose: a copiare gli annunci e a segare i dipendenti. Poteva sempre servirmi come esperienza, anche se della pubblicità, tutto sommato, in quel momento non me ne poteva fregare di meno.

È così che ho preso quel biglietto aereo, il mio primo biglietto aereo per gli Stati Uniti e mi sono sentito come gli emigranti agli inizi del secolo che andavano a cercare fortuna al di là dell'oceano. Portandosi dietro speranze, sogni, caciotte, salami e solitudine.

rima le mutande o le magliette? No, prima i pantaloni! Poi scarpe da tennis… ah ecco: costume da bagno, il dentifricio lo compro là, spazzolino, calze che non si sa mai, un maglioncino, una moleskine per scriverci qualcosa: no, la moleskine costa troppo, prendo un notes. Un po' di fatica per chiudere i lacci, aspetta che metto una targhetta con il mio nome e il mio indirizzo, casomai andasse persa la borsa.

Ecco fatto. Tra due giorni parto, il biglietto è arrivato, 2000 euro dovrebbero bastare per una settimana, l'albergo è prenotato, Francesca mi ha detto che non è proprio infimo ma non è certo in una zona "in" di Miami Florida. Credo sia anche abbastanza distante dalla zona in cui vive Angela, ma con i mezzi pubblici non è difficile da raggiungere.

Il problema, ora è come dire a mia madre che non passo il Natale con lei perché vado in America.
«In America?! ma soto mat?! A far che in America el dì de Nadal?».
Sapevo, avevo previsto lo sbotto dialettale, ogni domanda: erano le mie risposte ad essere improvvisate ed evasive. Avevo voglia a raccontarle la storia dell'aggiornamento professionale, del paese sempre all'avanguardia, di quanto sarebbero salite le mie quotazioni nel presentarmi in un'agenzia dicendo "ho fatto uno stage a New York".
«Ma scusa, tu non vai a Miami?».
«Si mamma, ma anche Miami è…».
«Ti no te me la cunte giosta…».

Nel terzo grado le mamme sono più capaci di qualsiasi superpoliziotto del mondo. Senza ricorrere alla tortura, ti costringono alla confessione dopo dieci minuti d¹interrogatorio. Crolli. E racconti di quel giorno che in chat…
«Chela la chat?».
La chat è come un bar in cui possono entrare solo le parole. Non si beve, non si fuma, non c'è rumore e si conversa scrivendo. E ci si conosce, ci si apprezza o ci si detesta. Si può essere ciò che si vuole, diventare facilmente ciò che non si è o essere se stessi: nessuno lo saprà mai.
È l'immaginazione la star della chat. Fa nascere storie impossibili, passioni amorose, duelli verbali, scambi culturali e se i protagonisti si surriscaldano e abitano magari vicini, anche scambi di natura erotica.

«Porsel…».
«Ma no, che c'entra, mamma. Ma quale porcello, dai!».
«Beh, e alura?!».

E allora confesso a mia madre che ti ho vista, anzi, letta, con quel tuo nick da ragazzina viziata perennemente in vacanza al mare nella villa di papy e mamy. Che passa il suo tempo tra barche a vela e pranzi sotto pergolati odorosi. Tra bottiglie di vino bianco "del contadino mio amico" e formaggi della "tenuta di mio cugino" mentre inzuppi il pane "del panettiere che ha ancora il forno a legna" con le tue ditine che profumano di sapone al sandalo e il tuo pareo che era "il tendone che avevi nel rustico di campagna: non è chic?" e i tuoi amici che sono "Dodo, Jampy, Frisby e Lulla": tutti fichi, abbronzati, ricchi. E che studi ecologia perché il mare sta morendo "e perché guarda come mi hanno conciato la spiaggia" e perché "non è giusto che questi zoticoni della domenica lascino i loro mierda di sacchetti di patatine a galleggiare davanti al mare".
E che ogni giorno ti osservavo e c'era comunque qualcosa che mi rendeva felice. C'era comunque una leggerezza profumata nel poco che leggevo, e una piccola profondità nelle tue parole e qualcosa di intollerante che mi affascinava. E che ti arrabbiavi, e più t'arrabbiavi e più insistevo e più insistevo e più ti incuriosivo, finché un bel giorno è arrivata la prima conversazione in privato.
E ricordo come fosse ieri la prima telefonata transoceanica della mia vita.
«Hoto telefunà in Merica?!».

cap. 2
NelBluProfondo.

Era una giornata d'agosto, lo ricordo perfettamente, e il ventilatore dell'ufficio rendeva a malapena sopportabile l'odore acre del fumo di sigaretta, ma nulla poteva contro il caldo che appiccicava la pelle ai pantaloni e i pantaloni alla stoffa della poltrona dell'ikea e le mie emorroidi al tessuto delle mutande. Perché quando la sfiga ti prende di mira lo fa a 360°, e tu hai voglia ad implorare l'Altissimo affinché ti conceda un po' di requie.

Non serve a nulla: la vita è fredda e le emorroidi bruciano. Dentro sentivo disperazione, senso d'impotenza e un sacco di altre baggianate sfibranti. Ma anche un senso leggero di freschezza, come se da una piccolissima fessura della mia anima entrasse un refolo primaverile. E questo piccolissimo alito ristoratore mi entrava sotto forma di frasi gentili che scorrevano nella piccola gabbia del pvt. Verso le due, uno scatto nella lista dei nick della room annunciava l'arrivo di NelBluProfondo, scritto tutto attaccato ma con le maiuscole al posto giusto. E allora il mio cuore pigro e distratto cominciava ad animarsi e l'ansia saliva al petto e le sigarette si moltiplicavano.

E questo accadeva per un nick, dal quale provenivano delle frasi a cui rispondevo con altre frasi: come si fa naturalmente seduti ad un tavolino di un bar, davanti ad un caffé, parlando e guardandosi negli occhi. Questo è stato il vero inizio di una grande follia.

Saranno state le 4 del pomeriggio. Il giorno precedente ci eravamo scambiati via mail i numeri telefonici. Mi disse che avrebbe chiamato lei perché in America vendono delle schede telefoniche per parlare con l'Europa, che costano dieci o venti dollari e permettono di chiacchierare a lungo.

Devo dire che ero abbastanza su di giri, curioso di sapere che voce avesse quest'angelo colombiano di 25 anni, così ricco di vita e perché no di sensualità. Eccolo!
«Pronto?!…».
«Ma ciao Giacomo… E facio questo e nananan e facio quelo e nananan e tu cossa fai e nananan… a ma com'è interesante…. e poi curo i mamifferi…. conosci i Manatee?… noooo? non fa nulla sono grandi mamifferi marini dolcisimi a cui io dò da mangiare una volta ala setimana il venerdì… e sono tanto simpatici anche se molto grosi…. nooooo… nessuno pericolo sono vegetariani…. e hano i bafoni….. c'è n'è uno cuciolo molto simpatico… ma io non li toco mai, mi sembra di entrare nela loro intimità… in fondo loro non ti tocano… al masimo ti anussano… mica come gli uomini che hano ste manacce e devono tocare tuto quelo che vedono…. anche con i corrali faccio lo stesso… li guardo sensa tocarli, vedo e capisco il loro stato di conservasione… ma tu lo sappevi che i corali sono degli esseri viventi e depongono le uova… mica come credono tuta la gente sono roce…. noooooo…. loro vivono soto del mare e si nutrono e si cibano e vengano feccondati dai pesci ma dio il mio mare come sta male…. ma come è belo imergersi e… scendere nel blu: nel silenzio del blu profondo… e a volte m'imergo in noturna ed è ancora più afasscinante… e i picoli pesiolini che te pasano vicino curiossi e rappidi e le mante grandisime che si nascondono volando soto la sabia del fondo lasciando fuori solamente i loro ochieti…. odio, nononono che belo….e tu… dai racontami de ti…..».
«Io? cosa faccio io? Ho uno studio di pubblicità e fino all'anno scorso facevo musiche per la pubblicità…».
«Ma sei un mussicista?».
«Insomma, si ho fatto un disco anni fa…».
«Hai fato un ce de, si?!? mi piacerebe sentirlo: io addoro la mussica…».
«Quando mi darai il tuo indirizzo te lo mando, e sai che faccio… ti mando anche una specie di libro che ho scritto….».

Le emozioni stavano diventando sempre più forti, e spesso le lunghe telefonate notturne prendevano tinte erotiche, non avrebbe potuto succedere altrimenti, dopo due mesi passati a dichiararsi e a confessarsi amore. Oltretutto c¹era stato anche il fatidico scambio delle foto e devo dire che sono rimasto incantato da quella figura, da quel viso ovale e da quegli occhi vagamente torbidi e incantevoli. Dalle braccia sottili e dalle cosce ben levigate e da quelle chiappe sode da nuotatrice oceanica. Al telefono lasciavo che il filo dei pensieri e delle emozioni scendesse su quel corpo di cui sentivo la voce, quella voce così calda e avviluppante che indelicatamente raccontava delle labbra silenziose.
E immaginavo, immaginavo, costruendo e mitizzando. Esagerando ogni dettaglio fino a farlo diventare la cosa più bella che avessi mai sognato
ad occhi aperti. Nella mia mente tutto era spalancato, e anche dal mio cuore finalmente erano spariti i lucchétti.

cap. 3
Figlio di madre natura.

Ricordo. E mentre racconto a mia madre, la mente rivive il gioco dell'illusione e della passione.
La sua voce interrompe i pensieri.
«Ma te soto Œnamurà de na fonna che no te mai vista?!».
«No, ho visto le foto. Ce le siamo scambiate…».
«Ah. L'è Œmpo poc per nar in America…».
Ecco, la filippica sta partendo. Già dal tono della voce si capisce che sta per arrivare: inesorabile. Dopo il terzo grado ascolto la predica.
A parte il fatto che passava Natale da sola e le sarebbe piaciuto avermi con lei almeno quel giorno, potevo fare quello che volevo. Mi faceva notare che comunque non è bello andare a trovare le persone proprio nei giorni di festa, perché in fondo sono feste della famiglia e non si ha voglia di avere estranei per casa.

«E tu almeno porti qualcosa, qualche regalo o vai a mani vuote? Ma ce l'hai qualche soldino… sai che in America la vita è cara, me lo diceva anche il mio cugino, quello che poi è andato Inisvizzera che i primi tempi facevano la fame a Nuova York e che pensa avevano una stanza in quattro e c'erano degli scarafaggi grandissimi, mica come quelli che ci sono qui da noi. E poi faceva freddo, loro sono arrivati in gennaio e li trattavano male gli americani agli emigranti italiani. Per fortuna poi che lui è andato a servizio da una famiglia ebrea che stava in quell'isola che c'è dove si vede la statua della libertà. Macché libertà, li trattavano come delle pezze da piedi. Pensa che c'era un suo amico che si era riempito di pidocchi e per pulirlo l'hanno spruzzato con il disinfettante. Come bestie mi diceva mio cugino americano. Hanno fatto quel viaggio sul vapore in mezzo ai topi. Eravamo poveri. Erano poveri. Comunque il mio cugino lavorava come cameriere da questa famiglia, il padrone era un avvocato importante e la signora faceva il varietà e poi era volontaria. Erano brave persone. Ma lui sentiva la nostalgia di casa. Pensa che piangeva tutte le sere perché pensava alla sua mamma e poverino le mandava sempre a casa i soldi e nella busta metteva un bigliettino con scritto "saluti cara mamma qui va tutto bene e sono contento" ma la sua mamma sapeva nel cuore che lui non era contento: ah le mamme! Diventerai genitore anche tu un giorno e allora vedrai…
Figurati è già cara anche qui da noi, immaginati là! E ch'oto mes nella valis… ah fa caldo?
Ho capito… mmm…. senti ti dò dietro un po' di uova fresche…. di quelle nostrane così le assaggiano… ah: è vero che si rompono…. furmai? va bene, va bene è vero magari poi en aereo le spòsa. Ma si dai. Ma Giacom, sei sicuro di questa ragazza? Sei sicuro che sia una ragazza seria e non una sbrindola? mah?! non l'hai nemmeno mai vista… mi no te capise… comunque fai di testa tua…. finché non pesti le corna tu non sei contento…. te racomande però, giudizio: adess te se on om, non un bambino. Chissà cosa direbbe tuo padre se ci fosse ancora… sai che a gennaio sono tredes agn che non c'è più…. quanto tempo eh?…. signur… Giacom guardami, prometti alla mamma che farai il bravo?! mi raccomando non fumare la droga… sai che quella ti fa malissimo… no farme pensar mal e ogni tanto chiamami…. e sii sempre sincero, mi raccomando, sai che la mamma certe cose le sente eh?!…
E guarda che di gonne ce ne sono tante ma di donne ce ne sono poche… Mi raccomando Giacomo, testa sulle spalle. Ma senti e dove vai a dormire? Ti ospita lei? Ah: ma sei sicuro? si va bene. Portati dietro le tue medicine, mi raccomando e se vedi che non dormi prendi giù il tavor. E fai il bravo. Dai che è pronta: ti ho fatto i capù, che ti piacciono. Forse c'è anche un po' di vino che ha avanzato il Franco, lo vuoi? Te racomande el son: dormi, dormi e …».

cap. 4
Lascia che sia, ma non perderti di vista.

Domani parto. Mi sento come quando ero bambino alla vigilia di Natale. Immaginavo i regali, immaginavo Gesù Bambino che li portava. Non stavo più nella pelle. Saltellavo per calmarmi. Cercavo di distrarmi ma non c'era niente da fare, la mia mente andava veloce all'indomani, davanti all'alberello, su quel piano di marmo su cui era appoggiato, e che si sarebbe riempito di scatole colorate… Fai il bravo perché sennò Gesù Bambino non ti porta niente.

Ogni due per tre guardo la valigia e la soppeso chiedendomi se per caso potrò portarla a bordo come bagaglio a mano: forse sì, non è poi così pesante. Butto un occhio alla busta con i documenti, la apro, controllo il passaporto, i soldi… ci metto anche la carta d'identità?… No quella la tengo nella giacca insieme al portafoglio. Sì, così è più sicuro.

Leggo qualcosa và, così mi passa il tempo. Ma la vista si appanna sulle parole del libro, scompaiono i caratteri e diventano delle linee nere, incroci bianchi, aereoporti, palme, lingua straniera… a proposito… aspetta che prendo quel dizionarietto d'inglese, mi può sempre tornare utile. E mi risiedo e riprendo a fissare la pagina che si ritrasforma in qualcosa che verrà. La stanza d¹albergo, la doccia, ah, l'albergo si chiama Eden Hotel, 6200 Biscayne Blvd . ³Eden² lo ripeto ad alta voce e comincio anche a parlare un po' in inglese: "Please, can you tell me where is Coral Gables?… Goodmorning, sorry I¹m Italian… where I can find something to eat?…. Miami it's a very nice place… How much cost this pizza? 2 dollars?!… at the face, it's really expensive!"

In fondo ho un po' di paura, e mentre tengo il libro tra le mani, mi accorgo che ora è una lacrima quella attraverso cui vedo le linee nere e le linee bianche. Ho quarantaquattro anni. Parto per amore, ma ti rendi conto?
Parto per amore. Ok ok, basta, in fondo è un¹esperienza. Positiva o meno, è pur sempre qualcosa di avventuroso e ne ho bisogno e lo voglio perché sono stufo di come sto vivendo ora. Voglio buttarmi alle spalle tutto. E voglio incontrarti, sorprenderti. E ti vedo, e ad alta voce rileggo una lettera che ti ho scritto:
"Le spiegazioni, le ragioni: mi sfuggono. Non le comprendo. Ma il desiderio arriva a disconnettere la ragione. E si vive al di fuori del reale, si ama al di sopra del possibile. È possibile. Questo è possibile. Tu ed io siamo possibili. Ognuno immerso nella propria realtà.
Ci tendiamo una mano, ci promettiamo amore senza che per nessuno dei due cambi nulla: anche se pensandoci bene è cambiato tutto. Almeno per me.
Forza, coraggio, carattere. Determinazione. Parlando con te ho compreso che l'importante non è essere colti, ma è necessario avere un'idea. Propria. Interna. E ho scoperto con te che era sepolta, l'ho rispolverata e brilla ora. È mia. É il senso della mia vita. E comunque vada sarò consapevole che Giacomo è stato anche un'idea. E che il dolore mi è spesso arrivato dall'impossibilità di realizzarla. Era un'idea che voleva cambiare il mondo e aiutare gli altri. Mi hai risvegliato. Come potrei non amarti?²

Ho passato la notte in bianco nonostante il tavor 2,5. Ho fumato, mi sono fatto una tisana, ho smangiucchiato biscotti, ho visto la tv.

Mi sono addormentato verso le 4. Alzato alle 5. Alle 6 ero alla stazione centrale per prendere il pullman per la Malpensa. Con la bocca così impastata che quasi non riuscivo ad aprirla. E la paura della cacherella, che implacabile arriva quando ho qualcosa di importante da fare. Strano si è tenuta lontana. Ho bevuto un caffè al terminal, ho pisciato una quantità infinita di volte per l'agitazione, ho comprato l'Espresso per darmi un tono e mi sono seduto sulle seggiole di metallo bucherellate dopo aver fatto il chek-in e avere mio malgrado consegnato la valigia all'addetto della Delta Airlines. Che palle!

Ho trascorso il tempo in attesa della chiamata del volo, guardando distrattamente i miei compagni di viaggio. L'uomo d'affari che non ha smesso un istante di usare il cellulare, la famigliola con il papà dal cappello di paglia in testa e il collo della camicia hawaiana che spunta da sotto il loden, una suora, un paio di bambini, un figone con cui avrei volentieri condiviso il volo, e altri passeggeri: di quelli che non bucano l¹immaginario, restano anonimi, ma per cui nutro sempre una speciale tenerezza.
«The Flight number 1825 to Miami it¹s on board on gate 7…».

Colpo d'ansia, impercettibile palpito del cuore, sono già in piedi e mi metto in coda per oltrepassare le hostess che controllano le carte d'imbarco.
Mi comporto da gentleman, come sempre, e faccio passare una coppia davanti a me, poi inflessibile e determinato porgo la mia carta per il paradiso ad una hostess da paura.

Qui comincia l'avventura…. e sento quello strano stato d'animo, quell'eccitazione da saltello che sentivo il giorno di Natale. È vero, in fondo dentro noi, gli anni non passano mai.

Meno male che il mio posto è vicino al finestrino. Non so perché ma vedermi precipitare, mi fa meno specie che sentire che sto precipitando: come se potessi fare qualcosa, non so: mettere avanti le mani?

Bello volare, indubbiamente ed ogni tanto è anche bello vedere il mare sotto, o le città piccole o i fiumi o le montagne. Ma quando pensi ad uno dei vari Airport ti si stringe immediatamente la bocca dello stomaco: un piccolo vuoto d'aria e ti vedi precipitare.
Mi accomodo sul sedile e tra un'occhiata a chi sale e un'occhiata alla pista cerco di distrarmi dal tremore diffuso che ho addosso. Dò la colpa al caffé preso in aereoporto e mi dico che in fondo non è detto che l'aereo precipiti e che in fondo morire è una cosa seria che non capita tutti i giorni.

Le hostess e lo stewart di bordo iniziano la danza della sfiga. Tirate qui per le maschere, mettete le mani sotto il sedile per il salvagente: nel caso finiste in mare tirate le cordicelle e puff si gonfia da solo. Le uscite di emergenza sono qui, su giù. Come il resto dei passeggeri assisto alla replica dello spettacolo con un piccolo sorriso sulle labbra, come se fossi anch'io abituato a volare quotidianamente.
Espletate le formalità, mi concentro con la coda dell'occhio al passeggero che ho a fianco. Una donna sulla cinquantina, con la faccia devastata dall'acne ma con un paio di tette niente male. E subito il mio pensiero porcello s¹inventa un coito volante nel gabinetto dell'aereo.
Una sveltina in realtà: perché dopo un minuto di pensieri erotici l'aereo comincia a rullare sulla pista. Immediatamente Eros diventa Thànatos. La ballerina mi prende le gambe, l'angoscia trivella lo stomaco, le dita s'incrociano eeeeeeee….. si stacca da terra questa bestia schifosa di un aereo del menga… e io penso dai, dai, dai su alzati, dai che ce la puoi fare. E sorrido come un ebete alla mia compagna di viaggio che per tutta risposta alza leggermente il labbro e così facendo dilata i pori dell'acne: è diventata un groviera che ride!
Tace per un'ora, forse di più. Io dormicchio appoggiato al finestrino e cerco di mantenere quella posizione perché so benissimo che se appoggiassi la nuca al poggiatesta, per non so quale legge della fisica, addormentandomi, la testa mi cadrebbe sulla sua spalla.
Poi arriva la hostess con la colazione. Biscotti, aranciata da colica, vino rosso, caffé, tartine di caucciù e delicatessen da seconda classe. Evito l'aranciata, soprattutto perché la dissenteria in aereo dev'essere molto brutta, e mi accontento di caffé e biscotti.

Miracolo! Oltre che per mangiare, ora la mia compagna di viaggio apre bocca e pori per dirmi qualcosa.
«Buonciorno… sempre schifose mangiare in questi aereoplani… io chiedo perché non dare meglio… in fonto gente paca molto per folare… credo, io, non capire gente di Italia…».
«Ehm, signora, questa è una compagnia aerea americana….».
«Ah, già, già… si comunqve … anche compagnie italiane hanno catering schifo… una folta io trovato mosca nel caffé: altra biscotti di anni scaduti. Roba da fomitare… insomma che cosa ci fuole in fondo, io non zo!».
«Vero, vero… non ci sono più le compagnie di una volta….».
Più che in aereo mi sembra di essere in ascensore visto i toni della conversazione: solite lamentele da coinquilini.
«Lei fa a Miami per affari?…».
"No vado a trovare una persona."
«Uomo o donna?…»
«Ehm, donna… un¹amica che abita lì…».
«Uuuuu, romantico: una storia romantica… che bella qvesta cosa, io adoro le storie d'amore…».
Ecco, ci mancava la tedesca logorroica. E cosa c'è di peggio di una tedesca logorroica psicanalista che comincia a farti domande a raffica sul perché, il percome?
«Certo fado a Miami per un master in psicologia comportamentale…. e conosce molto bene qvesti amori tra persone di età difersa! Stia molto atento allora… ».
(Chissà se posso chiedere allo stewart di aprirmi il portellone per buttarmi giù?! Fanc…)
«Si ci sto attento, ma lei mi ama…».
«È molto che fi conoscete?».
«Bah, saranno tre mesi….».
«E dofe fi siete conosciuti?».
«In chat…».
«In chat?… cioé?! … ma fi siete mai fisti?!».
«Ennò eh!».
«Oddio ma allora come fate a dire che fi amate? Non si faccia illusioni, la realtà è ben difersa dal desiderio che ne abbiamo…».
«Si, signora, la ringrazio… se però continua ad infondermi tutto sto coraggio, mi sa che io arrivo a Miami e rimango in aereoporto in attesa del primo volo di ritorno…».

…Mmmmmmm mi sembra si stia stancando della conversazione… speriamo s¹addormenti e la smetta di infierire sul mio cadavere… ogni sua parola è come una pugnalata di verità, me ne rendo perfettamente conto. So bene ogni cosa, so bene che è assurdo che io sia su questo aereo. So bene che sto rischiando di arrivare, e suonare al campanello della casa di Angela e di trovare una donna che magari non mi riconosce nemmeno. E che magari non mi ospita e mi caccia. Pensa se chiama la polizia: sarebbe il colmo. Ma no, no: non è possibile. Su, un po' di ottimismo, sano ottimismo.
E corre la fantasia romantica alla sua porta che si apre e lei che lancia un urlo di gioia e mi corre incontro nel vialetto e mi abbraccia e finalmente ci baciamo appassionatamente e ci sussurriamo parole d¹amore all'orecchio e compagnia cantante.
Si vedrai andrà così, ne sono sicuro.
All'improvviso la bocca dello stomaco si chiude e mi fa ricordare cose poco piacevoli, piccole liti e la prima volta che le ho detto che sarei venuto a Miami. E la sua risposta "Se tu vieni io me ne vado". E mi crolla il mondo e sudo freddo e devo chiudere il rubinetto dell'aria sopra il mio sedile. Cerco conforto con lo sguardo nei buchi della mia compagna di viaggio. E mi dico: forse ha ragione lei, forse, forse. Le gambe ricominciano a ballare irrequiete, mi tormento la barba con le dita. Mi tocco il naso. Respiro affannosamente… forse è meglio che prenda un tavor… no, no… se comincio così andiamo bene! Cerco di sorridere guardando dal finestrino: sotto ci sono solo nuvole. Mi viene in mente mio padre e quell'ultimo viaggio che abbiamo fatto insieme. Chissà se mi ascolti?! Beh, se puoi farlo, dammi una mano adesso: fa che vada tutto bene. Mi addormento.
«… we are fliyng over the Atlantic Ocean….».
Ho la parte sinistra della faccia congelata da due ore di sonno contro il finestrino dell'aereo, e dopo l¹avviso del comandante butto un occhio di sotto e grazie a dio, tra una nuvola e l¹altra, riesco ad intravedere il blu nero dell¹oceano ed immediatamente mi viene in mente che se cadiamo, oltre alla faccia mi si gela definitivamente anche il resto. Ma ecco che arrivano le vivande.
Abbasso meticolosamente il tavolinetto e aspetto che arrivi la hostess con i suoi tre chili di cerone a porgermi il vassoietto del sopravvissuto.
Apro lo scrigno e con meraviglia ci trovo le solite cose. Pollo in gelatina, un rettangolino di burro salato, verdure, un dolcetto, crackers, forchettina, coltellino, cucchiaino e marmellatina astringente.
«Do you want some coffee or wine?».
«Wine thank you!».
La tedesca accanto a me, naturalmente, prende una tazza di caffé e fa una smorfia quando si accorge che io ho preso il vino: ha paura che l¹alcol mi dia alla testa e nel proseguio del volo le infili una mano sotto la gonna, cosa che peraltro ho pensato? Le sorrido comunque e lei ricambia gentilmente.
Mastica rumorosamente. È una cosa che odio. Pazienza: tanto dura poco vista la quantità di cibo che ci hanno dato.
Ma tu guarda se a diecimila metri sull'oceano mi deve capitare una coetanea psicanalista che smonta le mie certezze! Però devo dire che la sua coscia contro la mia e la sottile linea che separa l'autoreggente dalla gonna che si allarga sempre di più mi mettono il cuore in pace: San Sesso, perché non ti hanno ancora canonizzato?!
Chissà com'è la libido teutonica? Come si fa a fare sesso nella toilette di un aereo? Come si fa soprattutto ad entrare insieme nella toilette di un aereo?
Probabilmente i suoi pensieri e i miei hanno lo stesso tema, perché all'improviso mi si rivolge dandomi del tu.
«Sai, ancora non cappisco come tu possa andare da una donna che non conosci nemmeno…».
«Senti. Non parliamone più. Tu quanto ti fermi a Miami?».
«Il master dura qvindici giorni…».
«Ma sei sempre occupata?».
«No le lezioni sono solo al mattino, il pomeriggio sono libera… perché, fuoi che ci fediamo?».
«Potrebbe essere un'idea… dove alloggi tu?…».
«Sono ospite di un'amica che abita in Coral Gables….».
«Angela abita in quella zona… dovrei andare li… -mi auguro-… hai un recapito telefonico a cui rintracciarti?».
«Sally Bruchner… 305 6758922…».
«Io sono Giacomo, Giacomo Recchi.. Chissà magari ti chiamo e andiamo a cena la prossima settimana, che ne dici?».
«Perché no?! Sei un buongustaio?».
«No, decisamente no. Mi piacciono le cose semplici e soprattutto non mangio tanto: sono un ex anoressico…».
«Ma sei gay?….».
«Eh?… che c¹entra essere gay?!».
Ma porca di quella paletta, è mai possibile che io debba passare la mia vita a chiedermi o a farmi chiedere se sono gay? E anche su sto aereoplano ci dev'essere una rompicoglioni butterata che mi spacca: e psicanalizzami il cirippiolo, accidenti! Non è detto che se uno smette di introdurre cibo in bocca sia perché ha necessariamente voglia di immettere qualcosa d¹altro nella regione anale. Almeno, a me non è successo. Io credo invece avessi dentro un grande senso di fallimento, un¹impotenza di fronte agli accadimenti della vita: una confusione tremenda tra fantasia e realtà. Era semplicemente una mortificazione del corpo perché sentivo che nessuno comprendeva la mia mente: ero già allora un outsider.
Via la colpa, via la colpa!

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