
Nata nel 1960 nel Maryland, la più piccola e l’unica femmina di cinque figli, Julia Slavin si descrive così: «Da piccola a scuola ero un disastro totale. Avevo un problema con le lettere dell’alfabeto che a quei tempi significava semplicemente una bocciatura sicura, mentre oggi sarebbe definito “un disturbo da deficit di attenzione” o qualcosa di simile». Riconosce al padre, uno psicologo, il merito di averla aiutata “a trovare la strada dell’inconscio, un cammino necessario per chi scrive” e a sua madre, una donna del sud, “il dono della lingua” che le ha fatto raccontandole storie inventate solo per lei la cui protagonista era una certa Signorina Nientolina. Probabilmente anche i fratelli hanno avuto una certa influenza sulla sua scrittura. In un’intervista dichiara: «Il vero motivo che mi ha spinta a scrivere è la volontà di essere ascoltata. Sono cresciuta in una famiglia di uomini e mi sono sentita sempre invisibile. Ho ancora l’impressione che nessuno voglia stare a sentire cosa ha da dire una ragazza. Scrivo sperando che qualcuno mi ascolterà».
Dopo una laurea in storia, Julia Slavin decide di trasferirsi a New York per fare la commediografa. «Dopo tre giorni ho capito che cosa significa essere poveri», dice, «e non ho scritto una parola per dieci anni». Così trova lavoro alla ABC come produttrice del programma televisivo Prime Time Live. Dopo dieci anni sente di nuovo il desiderio di provare a scrivere. Nel ’92 convince il marito, un avvocato, a trasferirsi in un paese nei pressi di Washington, nel Maryland, dove aveva trascorso l’infanzia. Poco dopo il trasferimento, passando le mattinate a scrivere e i pomeriggi al parco con i bambini, pubblica il suo primo racconto: “Al sangue”.
Nonostante abbia vissuto dieci anni a Manhattan, nessuno dei suoi racconti è ambientato a New York. Julia Slavin (che con i suoi lunghi capelli biondo scuro e i suoi top neri sembra più una ragazza da spiaggia californiana che una madre di famiglia di Washington) dice che i quartieri residenziali fuori città sono luoghi a lei più familiari, «in cui l’erba cresce sempre e di solito la falciano gli adolescenti. Sono i luoghi del possibile». E, come abbiamo visto, proprio le infinite possibilità fantastiche della vita reale sono il punto di partenza delle sue surreali storie.
«Che ci si creda o no, le mie storie hanno origine dalla vita di tutti i giorni», dice Julia Slavin. «La malefica ditta che troviamo in “A prova di bambino” è ispirata alla vita reale. Dopo la nascita del mio primo figlio ho contattato una compagnia che si chiamava “Baby Guard” per rendere sicura la casa. Questi hanno fatto più di mille dollari sulla mia isteria». Così come la storia che dà il titolo alla raccolta nasce da un’esperienza vissuta: «Ero andata a trovare degli amici e sono stata divorata dalle zanzare. Il prurito era così terribile che avrei voluto tagliarmi un piede. Avevo dei segni orribili sulle gambe da quanto mi ero grattata. Sembravo una lebbrosa. Sono andata all’inaugurazione di una mostra d’arte, mi sono guardata intorno e tutti sembravano immuni dalle punture. Quell’episodio ha ispirato il titolo del racconto. “Al sangue”, invece, nasce dall’esperienza che ho fatto da ragazzina lavorando nei ristoranti. C’era una chiara gerarchia: le donne bianche facevano le cameriere, gli ispanici stavano in cucina e i neri ai fornelli. I personaggi del racconto sono tutti ispirati a gente che ho conosciuto».
Lettori e scrittori concordano nel trovare irresistibile l’unione di immaginazione e realtà, senso dell’umorismo e pathos che caratterizza le storie di Julia Slavin, vincitrice del Pushcart Prize e del Premio per la fiction Frederick Exeley della rivista GQ per “Al sangue”. La donna che si tagliò la gamba al Maidstone Club ha riscosso negli Stati Uniti un grande successo. È il “debutto promettente di una nuova scrittrice di grandissimo talento” come ha detto George Saunders. Adesso Julia Slavin sta lavorando ad un nuovo romanzo.
Visualizzazione del risultato