La città moderna, ovvero l’idea moderna della città, organizzata sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, eguaglianza e buon governo, è stata irreversibilmente consegnata alla storia passata trasformandosi in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, descrivere, raccontare.
Urbanisti, architetti, studiosi della città hanno esaltato la grandiosità e la bellezza della “città di pietra” – espressione coniata nella disciplina urbanistica per definire i monumenti e le architetture prodotte in Europa, soprattutto dal Rinascimento in poi –, ricordandoci che essa sopravvive all’incessante alterazione delle forme dell’umanità.
Tuttavia, se confrontata con i mutamenti sconvolgenti che si riassumono sotto il nome di globalizzazione, o anche con l’esplosione di umanità che caratterizza le città dell’Oriente e dell’Africa, la città di pietra appare una grandiosa, stupefacente, meravigliosa archeologia in dismissione. Che non fosse un cristallo dagli angoli netti, dalle superfici distinte e levigate, lo avevano detto in molti: da Poe a Dickens, da Baudelaire a Benjamin e poi Zola, Hugo, Apollinaire, Dos Passos, Leopardi, fino alle raffinate e complesse rappresentazioni di Calvino.
La città, o almeno quell’idea di un luogo del vivere insieme, è altro e altrove da quella occidentale che quanto più si specializza tecnologicamente, tanto più mostra la sua estrema fragilità e la sua scarsa adattabilità a sopravvivere. Essa non ha forse più futuro se non ibridandosi, mutando, accogliendo l’altro e la sua storia diversa.
Autore: Enzo Scandurra
Editore: Meltemi
Pagine: 144