Il primo maggio 2003 George W. Bush dichiarava conclusa e vinta la guerra in Iraq. Sappiamo quello che poi è successo: tutti i calcoli di Washington si sono dimostrati sbagliati, la Casa Bianca ha chiesto più truppe agli alleati e aiuto all’Onu, la resistenza degli iracheni è diventata sempre più violenta, la minaccia del terrorismo non è diminuita, i progetti per la ricostruzione dell’Iraq sono diventati quasi impossibili da realizzare.
Il tutto al costo di 4 miliardi di dollari a settimana e senza aver mai trovato le famose armi chimiche di cui tanti si era parlato. In una simile situazione, il fragore della grande politica internazionale e delle relative polemiche ha quasi soffocato le voci che si levano dal “campo”, cioè dall’Iraq stesso, in primo luogo quelle degli iracheni.
Il libro si propone appunto di ridare la voce a tutti coloro che del dramma iracheno sono protagonisti, e spesso vittime, in prima persona. Parlano le donne di Baghdad e gli studenti dell’università, i soldati dei contingenti occidentali e gli operatori delle Organizzazioni non governative accorsi per aiutare nell’emergenza, i dottori dell’islam della città santa di Najaf e le madri che accorrono ai dispensari di Bassora in cerca di medicine per i loro bambini, i nuovi politici che a Mosul e in altre città hanno deciso di impegnarsi per il futuro democratico dell’Iraq e gli abitanti del villaggio di Al Awja che videro Saddam Hussein bambino. Attraverso le loro esperienze è possibile non solo comprendere le sofferenze e i drammi di un popolo uscito da decenni di feroce dittatura e da una serie di guerre sanguinose, ma anche registrare i mille segnali e le motivazioni etniche, geografiche e religiose della diffusa resistenza ai progetti di “liberazione” e “pacificazione” guidati dagli Usa.
Autore: Fulvio Scaglione
Editore: Fratelli Frilli
Pagine: 160