Napoli da sotto a sopra

Napoli da sotto a sopra

Napoli è una città porosa, liquida, postmoderna e barocca, in continuo divenire, eppur bloccata nel tempo e nello spazio, nella delinquenza atavica, nell’immondizia, nella tecnica del raggiro assurto a forma d’arte, in un caos di cui i cittadini sembrano quasi andare orgogliosi. Napoli, bella come una sirena, circondata da un mare che secondo alcuni ormai sembra non bagnarla neanche più, è accogliente e respingente, profonda e superficiale, cangiante ed immutabile, Paese di Cuccagna e Gomorra insieme.

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Editore: Graf
Codice EAN: 9788889433249Pagine: 128Anno di pubblicazione: Libri 2011

Napoli è una città porosa, liquida, postmoderna e barocca, in continuo divenire, eppur bloccata nel tempo e nello spazio, nella delinquenza atavica, nell’immondizia, nella tecnica del raggiro assurto a forma d’arte, in un caos di cui i cittadini sembrano quasi andare orgogliosi. Napoli, bella come una sirena, circondata da un mare che secondo alcuni ormai sembra non bagnarla neanche più, è accogliente e respingente, profonda e superficiale, cangiante ed immutabile, Paese di Cuccagna e Gomorra insieme.

Le definizioni si affollano e si stratificano, ma nessuna sembra connotarla o descriverla davvero perché Napoli è la città dei contrasti, del basso e dell’alto, del dentro e del fuori, del comico e del tragico. In questo bailamme di tentativi volti a circoscriverla una volta per tutte, Napoli da sotto a sopra (o anche ‘sottosopra’, alla maniera carrolliana) di Gianfranco Gallo rende conto di questa infinita gamma di sfumature ‘urbane’ in maniera davvero stupefacente, passionale, sensuale, sfaccettata, commovente, ironica e auto-ironica. E, a ben pensarci, forse l’(auto)ironia e la pluralità degli sguardi sono le chiavi giuste per poter accedere veramente al labirintico tessuto urbano partenopeo, oltre al palese amore per questa città che guida l’autore in ogni passo, ogni rigo, ogni occhiata; perché per comprendere e raccontare davvero Napoli bisogna amarla per quello che è, viverla in ogni occasione e provare rabbia per la sua magnifica incompiutezza.

La Napoli di sotto

Il libro si divide in due parti, che sono però intimamente connesse l’una all’altra, proprio come nella città di Napoli l’‘alto’ è costantemente legato al ‘basso’, con tutta una serie di infinite nuances.

Nella prima sezione, dedicata “alla Napoli di sotto”, l’autore passa in rassegna le diverse anime che caratterizzano questa città: la povertà, la criminalità, la furbizia, la speranza, la frustrazione, il sogno, il tifo (calcistico), il coraggio, la rivalsa, l’ignoranza, la vigliaccheria, la frode, il razzismo, la morte, la passione, il traffico, il sesso, l’amore; il tutto condito con una eironeía (sociale, psicologica e filosofica) che porta allo scoperto la ‘vera’ Napoli dei nostri giorni. E non ci sono giustificazioni ‘buoniste’ che tengano per l’autore che, caustico, niente concede.

Infatti, in quella che potremmo definire una vera e propria dichiarazione d’intenti, dal titolo “Guappi e scialli neri”, egli afferma: “Non ho mai creduto ai racconti dei guappi gentiluomini. Per me anche il guappo di una volta era espressione di un’ignoranza primitiva e la sua scelta di vita era comunque basata sullo sfruttamento di altri esseri umani. Tuttavia si racconta che gli antichi guappi tenessero fuori dai problemi le donne. I camorristi moderni, invece, ammazzano anche loro, attuando apparentemente un disconoscimento della logora figura della madre intoccabile che una volta il poeta descriveva «arravugliata dint’ o’ scialle niro» (avvolta in uno scialle nero) e che oggi viene invece «arravugliata» in un lenzuolo sul tavolo di un obitorio” (p. 5).

Ed ancora, in chiusura de “Gli ex stranieri”, l’autore si rivolge a muso duro ai lettori, in un ‘a parte’ che sollecita una risposta sincera: “Se un marito napoletano … scoprisse che la moglie lo tradisse da un po’ con un immigrato africano, potrebbe mai sopportare l’onta? E l’onta a quel punto sarebbe il tradimento o la razza e il colore della pelle dell’amante, o tutt’e due le cose? Riflettete un istante e non mi dite che per voi, nel caso di specie, tutto sommato se l’amante fosse bianco non sarebbe meno grave e soprattutto alla luce di ciò, non mi dite che non siete razzisti” (p. 49).

Ognuno dei sei racconti della prima parte – tutti ricchi di visività e visionarietà, tanto da sembrare dei copioni pronti a prender vita – è preceduto da una sorta di breve premessa creativa, in cui l’autore si mette in gioco in prima persona, affrontando le tematiche e le atmosfere che saranno sviluppate nel racconto che segue; così, il suo punto di vista, la sua vita, la sua famiglia, le sue esperienze quotidiane, i suoi ricordi diventano materiale narrativo dai profondi risvolti sociologici e culturali.

E non è un caso, forse, se il percorso comincia proprio coi famosi “bassi” napoletani per passare a “la Napoli meglio” (quella del Vomero, di via dei Mille, via Petrarca e via Scarlatti, per intenderci), e ritornare infine ai vicoli vicino alla stazione centrale e a San Gregorio Armeno, lo spazio degli ‘ultimi’, degli ‘invisibili’, degli ‘scarti’ della società: “un’umanità estranea, non ancora inserita, dallo sguardo quasi sempre mesto, poche volte speranzoso, sempre guardingo: è l’esercito dei senza permesso. Un’enorme rappresentanza delle ingiustizie terrene, gente costretta a scappare dalla propria terra per fame o per una guerra in corso o per un’ennesima catastrofe naturale e che vaga per Napoli muovendosi come un’onda anomala che invece di raggiungere le spiagge, ristagna in orizzontale vittima delle correnti” (p. 47).

L’ultimo racconto, intitolato “Il Maradona del cardellino”, che l’autore dedica a suo padre Nunzio Gallo, chiude la narrazione ‘alta’ in un’atmosfera intima e personale, quasi a siglare il profondo legame che lo lega alla sua città, finendo quasi per identificarsi con essa, col suo passato come col suo futuro.  

La Napoli di sopra 

La seconda parte, dedicata alla “Napoli di sopra”, è narrata dalla penna di Giovanni Napolano (nomen omen!), surreale e carnascialesco alter ego di Gianfranco Gallo: “Sono poeta metropolitano essendo che scrivo poesie nella metropolitana e specialmente nella tratta Pozzuoli-Gianturco. Io scrivo solo nella metropolitana, cominciai a Napoli, ma all’epoca c’era solo una linea e io scrivevo poesie lunghe al massimo due righe che potevano andare bene nei Baci Perugina. (…) So’ poeta, ma non è che lo dico io, sono proprio poeta dint’ ‘a ‘llossa, te lo giuro che … aviss’ ‘a murì tu! O anche qualche parente a casa, come ti fa più piacere. Se non hai parenti va bene anche qualche conoscente o qualche animale che però ci devi tenere assai” (p. 83).

Scansonato e burlone, Napolano sembra appartenere alla stessa stirpe dei fools shakespeariani o dei buffoni della commedia dell’arte, filosofi dal cervello fino e dalla lingua tagliente, gli unici che potevano permettersi di offendere il potere, rovesciare l’ordine costituito con un battuta sagace e sollevare dubbi o riflessioni nella mente dei personaggi di nobile estrazione sociale. Il suo linguaggio spesso sgrammaticato e fortemente ritmato, carnale, provocatorio, ibrido, è davvero poesia pura, allo stato brado, che mescola aspetti comico-grotteschi ad aspetti tragici: “Sono anni che vivo solo per mia nonna: senza ‘a pensione soja non potessi campare” (p. 88), scrive nel primo capitolo delle seconda parte.

Ed ancora: “Io amo, tu ami, tu ami, tu non ami, io amo, tu ami, tu ami, tu ami, io non amo… verbo difettoso all’infinito” (p. 92). Insomma, Napolano riscrive uno ad uno i cliché tipici della ‘napoletanità’ e dell’umanità più in generale, svelandone le contraddizioni, le più intime perplessità, il nonsense. Del resto, come ha scritto Bergson, si ride solo per ciò che è propriamente umano e che è connesso all’imperfezione o alla follia umana, a un’umanissima fragilità.

Dopo aver analizzato, nel suo modo viscerale e pungente, la famiglia, l’amore, il sesso (nel capitolo intitolato “Love, sex, drugs e roccocò”), nel terzo capitolo Napolano affronta la questione politica, in “Politica, nani e ballerine”. Quale novello fool, nessuno passa indenne sotto il suo giogo: “Se un giorno dovessero riaprire le ‘case chiuse’ mi piacerebbe visitare la Villa di Arcore” (p. 104); “Unità d’Italia 1861-2011: «I migliori anni della nostra sfiga»” (p. 105); “L’unica secessione che i leghisti hanno realizzato è quella del cervello” (p. 107). E così via.

Pensieri a raffica che fanno ridere, sorridere, ricordare, pensare. Le “Poesie metropolitane” chiudono il libro in un’atmosfera di ilare liricità che non fa dubitare neanche un istante a chi legge che Napolano sia un poeta “dint’ ‘a ‘llosse”, sperando che la sua penna continui a correre veloce sul taccuino nei treni della metropolitana: “Quando nun te veco te penzo,/ quando nun te penzo te veco,/ quando te veco bbuono è meglio can un ce penzo!” (p. 120); e ancora: “Amore mio, ieri ti vedetti per strada di spalle,/ il piacere di non essere visto e di guardarti mi rendeva ubriaco, camminavi elegante, nei tuoi passi ci stava tutto l’universo di una donna,/ i capelli al vento, le spalle dritte a sfidare il giorno,/ le gambe dai muscoli tesi e dalla carne tosta,/ il tuo sedere assetato di sguardi,/ pensai: «Come ha potuto scegliere proprio me?». Ti girasti… non eri tu” (p. 123). 

Napoli da sotto a sopra

Autore: Gianfranco Gallo
Editore: Graf
Pagine: 128

Napoli è una città porosa, liquida, postmoderna e barocca, in continuo divenire, eppur bloccata nel tempo e nello spazio, nella delinquenza atavica, nell’immondizia, nella...

 

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