Una vita di Colette

Una vita di Colette

Chi è veramente Colette?

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Editore: Feltrinelli
Codice EAN: 9788807530012Pagine: 668Anno di pubblicazione: Libri 2001

Chi è veramente Colette?

Nel momento storico in cui l’attenzione intorno alla più nota e discussa scrittrice francese produce saggi e biografie con una regolarità impressionante, giunge finalmente in Italia la sola biografia in grado di liberare una volta per tutte la notorietà di Colette dalla miriade di cliché: l’inesperta giovane che dal villaggio sceglie di cadere nelle "zampe pelose" del pigmalionico e vecchio marito parigino, la scrittrice per caso e per noia, la più esibizionista tra le lesbiche, l’attrice di teatro, il mimo, la commerciante di prodotti estetici, la feroce animalista, la misteriosa fedifraga, l’amante del giovanissimo figliastro, insomma, la Liz Taylor della letteratura mondiale, cliché spesso fuorvianti dai quali la più profonda e "segreta carne" di Colette è da troppo tempo soffocata.

Con una scrittura di taglio narrativo, sapientemente arricchita da particolari inediti – grazie agli archivi americani inaccessibili agli studiosi europei – Judith Thurman intreccia e districa il destino dei sentimenti da quello della vita, e accompagna il lettore lungo il percorso che fece di Colette la geniale inventrice di Claudine, la prima teenager moderna. L’immagine successiva della maturità, la donna sola e disillusa ma libera sembra poi rispondere al consiglio di Sido, la mitica madre: "C’è una sola persona al mondo su cui puoi contare, e quella persona sei tu".

Tratto dal libro:

Verso la fine dell’estate del 1900, Willy e Colette, infervorati dal successo, partirono dalla casa dei genitori di lui per una gita in campagna. La loro vettura si inerpicò per la ripida strada sterrata che portava dalla città di Besançon alle colline, svoltò in un piccolo viale e si fermò davanti a una palazzina con il tetto di tegole e un’elegante facciata Direttorio del colore di un "cammeo ingiallito". "Tutto questo è vostro," disse Willy alla moglie con un gesto che abbracciava la casa, il prato, l’orto, il parco circostante. "Tre anni dopo," scrive Colette (in realtà sette), "me li riprendeva."

La casa sulla collina si chiamava Les Monts-Bouccons ed era stata costruita nel diciottesimo secolo per fungere da casino di caccia. I giardini sono spariti ma è ancora circondata da un parco di quattro ettari, pascoli, alberi da frutto, un magnifico bosco con una macchia di altissimi sicomori secolari. Nel cuore del bosco c’è una sorta di anfiteatro naturale roccioso che si dice usato un tempo dai druidi. La casa è di proporzioni perfette ma minuscola. In tre passi si attraversa la sala. Da un lato c’è uno studiolo, che ha ancora il suo pavimento di linoleum fin de siècle, e dall’altro una sala da pranzo con i pannelli di legno alle pareti, scura e dall’atmosfera quasi gotica. Al piano di sopra ci sono cinque camere da letto. Quella di Colette aveva il balcone che si vede nelle fotografie della casa, e di lì si godeva il panorama, respirando il profumo del fieno appena falciato, della terra umida e delle rose. Come aveva fatto con Saint-Sauveur, il suo sentimento caricò Monts-Bouccons, una volta perduto, di una bellezza, una grandiosità, una profondità – almeno di carattere – che né l’uno né l’altro possiede, almeno non più. La loro realtà, piccola e un po’ trasandata, indica la capacità di idealizzazione di Colette e la potenza idealizzante della memoria.
A parte le visite annuali a Bayreuth e ai suoi parenti acquisiti, tra il 1901 e il 1910 Colette passò la maggior parte delle estati e dei primi giorni d’autunno a Les Monts-Bouccons. Lavorava in casa e in giardino, andava a cavallo, sbrigava la corrispondenza, faceva le sue gite in calesse, raccoglieva le ciliegie. Occasionalmente venivano a trovarla gli amici. Il capitano Colette si fermò da lei nell’autunno del 1901 e scrisse un’ode alla casa, anche se questa visita non è riportata nelle sue memorie pubblicate. Willy, come un marito moderno – oberato di lavoro – andava e veniva, "arrivava stanco morto, ripartiva stravolto, imprecando contro il sovraccarico dei suoi ‘lavori’ e l’obbligo, in piena estate, di rimanere ‘inchiodato’ a Parigi". Andando via, la lasciava preda della gelosia e del senso di abbandono, sempre attirata da "quella vecchia e normale fantasia di vivere come una coppia, in campagna". Ma questo senso di abbandono era anche un tonico: lentamente cominciava a sentirsi "ridiventare migliore, cioè capace di vivere di me stessa e puntuale come se avessi già saputo che la regola guarisce tutto".

Parte della disciplina di Colette consisteva nell’alzarsi alle sei del mattino in estate, alle sette in autunno, e fare ginnastica con la palestra portatile che aveva installato in una zona ombreggiata. L’attrezzatura comprendeva un trapezio, le parallele, pertiche, scale, una piattaforma, e "con tutto ciò", scriveva a Marguerite Moreno, "pratico i timidi esercizi volanti di una signora che ha paura di rompere qualcosa e di essere picchiata dal marito". Poi c’erano gli esercizi, meno timidi, che praticava nel suo studio: "Ti assicuro che lavoro in modo diverso con Willy-la-Doucette. Perché è assolutamente necessario mangiare quest’inverno. E questa mania di cenare oggi con quello che si guadagnerà domani è la cosa più perniciosa che si possa immaginare. Mi fa tristezza stare qui", conclude, "pensando che devo partire. C’è dappertutto un profumo divino di funghi… È il momento dell’anno in cui mi diverto pensando cose che mi provocano dolori tremendi, semplicemente per il piacere di tornare in me e vedere che non è vero".

Una vita di Colette

Autore: Judith Thurman
Editore: Feltrinelli
Pagine: 668

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