La poesia di Valeria Di Felice è il riflesso speculare di un’anima appassionata e, talvolta, sognante, ma non avulsa dalla realtà e dal mondo, nel quale come persona è profondamente radicata. In tutta l’opera, o sotterraneamente o per rappresentazioni, s’aggira e si sofferma la bellezza.
Ciò accade anche in “Abruzzo”, con in più la partecipazione commossa della poetessa che ne è figlia, in uno scenario che ha come limiti il mare e le montagne e come tetto il cielo e dentro questa sfera, tra memorie, anche ancestrali, marinai e pastori, viaggi nel mistero del mare e transumanze, emergono le fantasie, che portano alla propria personale origine e ogni moto dell’anima ma anche dei sensi che avvertono e fanno propri quelli della natura viva.
Ma, trascorsi i momenti dell’idillio, la realtà della vita s’impone ed allora, pur se temprate, pur se forti, la poesia e il poeta, tradiscono talvolta la propria fragilità, perché la bellezza rivela la propria innocenza e appare disarmata e vulnerabile, sebbene non seguano lamentazioni o urli, ma pacate e dolenti note, che però non annullano il canto nella poesia e il desiderio di vivere con pienezza sì, che non emerga la sconfitta ma una sorta di delusa presa di coscienza.
Allora, tra cadute e risalite, tra tentazioni a cedere e incrollabile fede, la bellezza accede nella dimora dell’amore e lo fa risplendere di ogni fulgore, anche quando l’ombra sembra velarlo, quando all’amore immaginato si sovrappone quello possibile e reale, quando chi si ama sembra sfuggire, o forse sfugge, in realtà.
È il fuoco della giovinezza che arde, ma che rifiuta le ceneri e pretende sempre la fiamma viva. Ma dev’essere una fiamma che rigeneri e che sia continuamente alimentata, che preceda la passione e il deragliamento dei sensi, l’abbandono totale, anche il caos, ma dal quale risulti poi l’armonia.Vietata è sempre, e per sempre, l’indifferenza, esclusa l’accidia, pretesi il fervore, l’attenzione, la cura, il calore, non continuo e senza soluzione di continuità, che finirebbe col bruciare, ma dopo la fiamma, la sua irradiazione a colmare l’insidia del gelo, del pensiero e del sentimento.
Questo vuole per sé il poeta, e la donna, che acquisisce, amando, purezza e innocenza e, tanto più è assalita dal desiderio, tanto più è sommersa dalla passione, tanto più avverte le catene del sentimento, tanto più acquista libertà, nel pensiero e nell’azione, avverte una sorta di purificazione, una non mai prima avvertita innocenza e limpidezza, che lo stesso amore, per sua natura, anche quando appare torbido o obnubilato dai sensi, irradia.
Anima eletta, quella di Valeria, ancora capace di credere nell’amore e nella sua incontaminata purezza, che non esclude, anzi presuppone, la completezza del godimento, in una esemplare fusione, di anima e senso.
Recensione di: Nino Mangione
Autore: Valeria Di Felice
Editore: Montedit
Pagine: 52