Un libro di viaggio che racconta una lunga spedizione in Afghanistan alla metà degli anni Venti del Novecento, nel cuore di un paese le cui frontiere erano rimaste fino allora chiuse a viaggiatori e giornalisti stranieri.
L’Autore di questo libro, un giovane ingegnere civile, percorse in lungo e in largo il remoto Afghanistan al seguito di una missione concordata fra il governo italiano e quello dell’emiro afghano Amanullah: una sorta di despota illuminato e riformatore, che varò nel 1923 un ambizioso piano di modernizzazione dell’arcaico paese, destinato a fallire nel giro di pochi anni per la irriducibile resistenza delle forze più tradizionaliste e del radicalismo islamico. Pecorella annota con diligenza esperienze ed incontri, componendo una “tavolozza” di osservazioni geografiche, etnografiche e di costume che restituiscono l’immagine di un mondo ancestrale, come fuori dal tempo. Fardà, che significa domani, è la parola emblematica di tutto un universo morale: «Fardà è l’unico rimedio contro la gravità delle cure di Stato, la sicurezza di prendere le giuste decisioni, allora quando altri elementi di giudizio saranno sopraggiunti; fardà è il monito continuo alla calma, alla ponderazione, alla transitorietà della vita umana; fardà farmaco sovrano contro la nevrastenia, la preoccupazione e la precipitazione delle decisioni».
Grazie a questa ristampa è nuovamente disponibile un raro documento su un momento cruciale della storia afghana del Novecento e sull’identità profonda di un paese all’epoca completamente isolato dal mondo esterno.