Se i libri di De Crescenzo, nel loro insieme, si possono considerare un “dialogo filosofico” ramificato e ininterrotto, che ha luogo quasi sempre all’aperto, per le strade, i fori e le agorà di una città del Sud, questa volta gli interlocutori sono solo due – il protagonista e il suo Alter Ego, e la loro lunga conversazione si conclude, nelle ultime pagine, con una sorta di “viaggio agli inferi”, nel ventre di una Napoli underground.
Siamo davanti a un dialogo dell’autore con se stesso, che è anche un viaggio tra le ombre; ed è straordinario come neppure in questa discesa, o “catabasi”, come dicevano i greci, De Crescenzo smarrisca la sua grazia aerea, l’affabilità e quel sorridente amore della vita che, riverberandosi da libro a libro, lo ha fatto amare, negli anni, da un così gran numero di lettori. Ci troviamo a Roma, nella casa dove De Crescenzo vive da anni.
Dietro una libreria, scopre una porta bianca e screpolata, di cui ignorava l’esistenza. Incuriosito, la abbatte e si trova in una stanza di venti metri quadrati, arredata con un lettino, un tavolo, quattro sedie e un armadio. Qui prende l’abitudine di rintanarsi ogni volta che desidera rimanere solo; rimugina, almanacca, ragiona tra sé, e qualche volta legge; finché una sera si accorge di un fenomeno inatteso: in quella stanza il Tempo non passa.
La cosa è strana; ma, a pensarci bene, non è almeno altrettanto strano quello che accade nel mondo a noi familiare, e cioè, che il Tempo passi? Se ci si è abituati a una situazione, ci si può abituare anche all’altra; e così Luciano De Crescenzo varca la soglia del mondo fantastico che gli si spalanca davanti, senza perdere niente della sua curiosità e della sua ironia; e non lo stupisce neppure l’apparizione di Tale e quale, il suo doppio, o il suo sosia, misteriosamente filtrato da un Universo Parallelo.
Autore: Luciano De Crescenzo
Editore: Mondadori
Pagine: 137